lunedì 21 giugno 2010

Turchese

Traduzione di un blog di Dave Hingsburger, esperto di psicologia comportamentale, lavora nell’ambiente della disabilità da parecchi anni ed è disabile lui stesso da diversi anni.

Link al blog in inglese pubblicato 20 giugno 2010, tradotto e riportato qui con il permesso dell’autore:
http://davehingsburger.blogspot.com/2010/06/turquoise.html


Ho cercato di fermarmi ma non sono riuscito.

Sapevo che non avrei dovuto sentire niente – ma invece sentivo.

Toronto è la città più grande del Canada. Yonge Street ha gli incroci più trafficati di tutta la nazione, ci sono macchine, gente, sedie a rotelle e passeggini ovunque. Noi avevamo preso un tè ed eravamo diretti verso il parchetto George Hislop per sederci a bere. Ho dovuto fermarmi un attimo prima di attraversare il bordo del marciapiede con la sedia a rotelle andando verso la parte est della strada per fare passare una donna. Le ho lanciato un’occhiata soltanto, per vedere quando avrei potuto muovermi con sicurezza. Ed è stato in quel momento che ho realizzato.

Realizzato davvero.

Lei aveva forse vent’anni. Aveva fretta e camminava a ritmo sostenuto. Un sorriso sul viso indicava che qualcosa di divertente era appena successo o stava per succedere. Aveva uno zaino blu sulla spalla sopra una T-shirt colore turchese. I suoi jeans erano volutamente stretti, non come conseguenza del suo peso. Mi ha superato, non vedendomi, guardando solo verso la sua destinazione. Era da sola.

e ...

aveva la sindrome di Down.

Non avrebbe dovuto avere importanza per me, ma invece lo aveva. Mentre ho attraversato la strada con la sedia a rotelle mi sono scoperto con le lacrime che riempivano gli occhi. Ho visto la mia vita davanti agli occhi; non è la morte che fa tornare rapidamente la memoria – è la vita. Ho visto una scuola elementare senza bambini con disabilità. Ho visto la scuola superiore senza teenager con disabilità.
Ho visto i miei anni da teenager fino a ai miei venti e trent’anni. La gente con disabilità esisteva solo in un ambiente professionale. Non esistevano in pubblico. Non esistevano senza la divisa da prigioniero impotente – con personale di supporto o genitore accanto a loro. Di certo non esistevano, da soli, per la strada, in città, indossando t-shirt colore turchese e jeans sexy.

Di colpo volevo che ogni medico che diceva a un genitore in attesa che le persone con la sindrome di Down non avevano speranza, non avevano futuro, avesse visto lei. Di colpo volevo che ogni esperto scolastico che crede che le persone con difficoltà di apprendimento non hanno futuro avesse visto lei. Volevo che ogni genitore che teme che il proprio figlio possa non vivere mai autonomamente vedesse lei. Di colpo volevo sentire la storia gridare ad alta voce ‘ABBIAMO SBAGLIATO!!!!!'.

La sua libertà.

La sua indipendenza.

I jeans che sicuramente suo papà non approvava..

I jeans hanno importanza.

Significano che Hitler si sbagliava. Significano che la genetica determina la nostra forma ma non ciò che siamo. Significano che una laurea in medicina non vuol dire capacità di predire il futuro. Significano che bisogna prendere la palla di cristallo che usano i genetisti per vedere il futuro e distruggerla. Significano che dobbiamo dare alla parola ‘possibilità’ il suo vero significato.

Significano che tutti quegli anni di amore e sostegno da parte dei genitori, tutte quelle lacrime versate dalle mamme che hanno lottato per insegnare, tutte le ore che i padri hanno dedicate per incoraggiare sono stati importanti.

Davvero importanti.

Qualche ora dopo ho chiesto a Joe se lui l’aveva vista. Mi ha risposto di no. Mi ha subito chiesto scusa spiegandomi che in quel momento stava parlando con Tessa, che era con noi. Ma io non volevo che la vedesse, che si fosse accorto di lei. Mi sembrava giusto che lei si mimetizzasse con gli altri. Perché io non volevo che lei fosse ‘altro’; volevo che fosse semplicemente ‘un altro’.

E sarà così un giorno per me. Il giorno in cui non sarà più eccezionale vedere le persone vivere al massimo del loro potenziale. Vedere le persone con la sindrome di Down essere semplicemente le persone che erano sempre state capaci di essere. Vedere la libertà come il risultato finale dell’essersi arrampicati per una salita più difficile.

Ma per adesso, io ho bisogno di vederla.

E sono molto contento di averla vista.

Anche se non avrei dovuto.

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